2009. 16 anni fa. Un anno che sembra vicino, ma che ormai appartiene a un’altra epoca: l’iPhone era appena nato, Obama era al suo primo mandato, e in Italia si parlava ancora di L’Aquila e del G8 a Genova mentre in Serbia continuano le tensioni post indipendenza del Kosovo dell’anno precedente. Ero già stato in Serbia in precedenza a Nis, proprio al confine con i Kosovo. Ma ne parlerò magari un’altra volta. Questo viaggio aveva come destinazione Belgrado, la capitale.
Ascensore
jelena, Ciano e io saliamo in ascensore. Mi giro e premo il tasto del terzo piano. Ci guardiamo tutti negli specchi che rivestono le pareti. Dlin. Si apre la porta: scende prima Ciano, poi io. Continuiamo a parlare dei colori per abbinare camicia e cravatta, come se fosse una questione di Stato.
Appena fuori, ci specchiamo nel grande specchio appeso al muro, ancora assorti nella conversazione. Silenzio. Passa un minuto, poi due. Ciano mi guarda, nota la porta dell’ascensore chiusa e mi chiede:
— Ma dov’è Jelena?
Avrei voluto essere nella sua testa in quel momento. Chissà se si stava dando del pirla per aver perso la fidanzata, o se stava già pensando a come far sparire le prove della sua presenza. Per un atto di carità, chiama:
— Jelena…
E si sentono dei passi che scendono lentamente. Jelena era rimasta dentro. Nessuno aveva notato nulla. Eppure eravamo in tre.
JAT
Cos’è?
La Society for Air Travel AEROPUT fu fondata il 17 giugno 1927, poi sostituita dalla Yugoslav Aerotransport. Nel 1987, JAT era al 31º posto tra i 112 membri internazionali dell’IATA.
È risaputo che la razza serba si distingue per la sua slanciatezza, e le ragazze sono tra le più belle al mondo. Mi spiegate allora perché le hostess della JAT, se non sono over 40 e con gravi difetti estetici, o maschi palestrati non si viene assunti? Bah…
Locale al piano
Cammino con Tamara nella zona che lei definisce bohémienne. Mi piace questo essere attivi culturalmente dei belgradesi, molto più dinamici rispetto ad altre città serbe (poi il fatto che la maggior parte di loro non sia originaria di Belgrado non conta… è l’aria che fa la differenza).
All’improvviso suona un campanello non segnalato. Penso sia un’amica. Tamara mi fa cenno di entrare. Salgo al secondo piano e ci ritroviamo in un androne scuro che si apre su un appartamento trasformato in caffè alternativo, con elementi da ogni parte del mondo. Una terrazza ricreata a giardino. Un gatto sul tavolo. Sopra il tavolo, una cartolina di Venezia.
Passione
I serbi sono open mind. Canali porno 24 ore su 24 in chiaro. Nessun bigottismo. Li vedi guardare quei canali con noncuranza. L’italiano no. Con malizia.
E così, sfogando al mattino la passione di una notte sfumata, bussano alla porta per cambiare le lenzuola (una coperta). Apro la porta con il frutto della passione in tasca. Che non è un frutto esotico .
Danubio
La sera non poteva mancare una sosta ai locali sul Danubio. Prendiamo un taxi e ci facciamo lasciare lungo la strada per proseguire a piedi sull’argine (a pochi centimetri dallo straripamento).
Lasciamo la scelta a Jelena, che si dirige verso l’unico locale da cui si sente musica. Attraversiamo il porticciolo per raggiungere l’ingresso. Ci apre un energumeno che ci passa uno a uno col metal detector e poi ci perquisisce.
Entriamo. Ordiniamo. Guardo Ciano:
— Ma per te è pericoloso?
— Pericolosissimo.
A quel punto, invece di guardare le ragazze che ballano, fisso il bicchiere. Acapulco.
Menjačnica
Hotel con bancomat, ufficio cambio e tabaccaio. Hotel dei vizi. Apro la porta ed esco per respirare l’aria di una Belgrado che vuole crescere. Attraverso la hall, chiudo la porta dietro di me e guardo a destra: una signora anziana si avvicina timorosa al cambio con cinque euro in mano.
1000 dinari sono 12 euro. 500 dinari sono 6 euro. 5 euro sono meno di due srpska salad. E mi viene fame pensando a quella frase: “Ci sono uffici di cambio ovunque perché hanno fame di euro.”
Traffico
In taxi con Ciano, troviamo un tassista personaggio. Abbiamo già deciso di lasciargli la mancia. Ci spiega qualche palazzo, un po’ di storia, nel tempo che scompare dal finestrino posteriore.
Non ci insulta perché siamo italiani. Ci racconta com’era nel ’99. Io penso a Istrana, ai locali vicino all’aeroporto militare, alle famiglie lungo la strada con i bambini in braccio che guardavano le partenze degli aerei di una guerra “umanitaria”.
Vediamo una coda di persone. Chiediamo il motivo: sono in fila per ottenere il visto per l’Austria. Sperano, ma nella maggior parte dei casi non lo avranno.
— Humiliate — dice il tassista. Non so cosa volesse dire grammaticalmente, ma non serve. Il discorso è tutto umanitario. Poi scherza: “Nessuno va più in quella italiana… è vuota.”
Rex
Cammino per il centro di Belgrado nervosamente. Secondo la mia teoria, per non farsi scoprire di essere stranieri bisogna camminare veloci e non tenere il naso all’insù.
Nel farlo, però, finisco sovrappensiero e quasi mi scontro con un’anziana signora dal lungo abito grigio. Vende giocattoli in legno. Ne ha quattro. Mi ricordano una puntata di Rex, ambientata a Vienna, dove un uomo vendeva imitazioni di passatempi d’epoca. Quattro giocattoli per vivere.
Kafana
La kafana è la taverna, il luogo dove ci si incontra per mangiare, parlare di politica, affari e amore. In ogni angolo di Belgrado trovi persone che parlano, rumori familiari, voci.
Nei miei viaggi a Niš mi chiedevo perché si stesse ore e ore in appartamenti a bere rakija senza concludere nulla. Non ho mai apprezzato lo stare ore nello stesso posto a parlare. Ma fino a pochi giorni fa non avevo colto una sottigliezza.
Il giorno dopo, parlando con Tamara, le chiedo perché ha iniziato un corso di danza del ventre. Mi risponde candidamente:
— Because I like it.
Io insisto: migliora il fisico ma soprattutto l’autostima, la femminilità. Lei risponde come prima. Non avevo ancora colto il senso della kafana. In Serbia, nessuno va dall’analista.
Bolle di sapone
Cammino la domenica mattina e vedo una bolla di sapone. Alzo gli occhi e inizia a piovere. Penso: “Piove su Belgrado.” Di sicuro qualche pirla, anni fa, avrà titolato: Piovono bombe su Belgrado.
Bombe che fecero 2000 morti nel 1999, in 77 giorni. Ora restano nella memoria dell’ospedale bombardato e mai ricostruito, che gli americani continuano a sostenere fosse una caserma.
Anche se fosse, andava bombardata una caserma in centro città, piena di giovani obbligati alla leva?
Noi abbiamo dato gli aeroporti. Ma loro non hanno risentimento nei nostri confronti.
